L'ALTRO COME INDISPENSABILE, DIPENDENZA AFFETTIVA

16.07.2018

OTTICA ANALITICO TRANSAZIONALE

La dipendenza affettiva è un disturbo della relazione che comporta una distorsione della percezione di sé e dell'altro. Tale modello relazionale disfunzionale, che causa disagio e frustrazione nell'affettivo dipendente, tende a riprodursi come uno stereotipo, per cui è facile, se non si interviene con un trattamento specifico, ricadere in relazioni tossiche, oppure compensare il dolore derivante dalla separazione e dalla forte paura della solitudine con condotte altamente disfunzionali e dannose, come l'uso di alcool, droghe, abbuffate di cibo, ecc.

L'altro è considerato dal dipendente affettivo come indispensabile per la propria esistenza, questo perché c'è una bassissima fiducia in sé e mancanza di autostima, c'è la grande paura di non farcela da soli e per questo ci si aggrappa all'alto, pagando anche prezzi elevati, come l'assoggettarsi a umiliazioni, manipolazioni, modalità tipiche dei narcisisti patologici o degli individui antisociali.

Nel dipendente affettivo c'è stato un brusco arresto nel suo sviluppo evolutivo, nel senso che non si sono completate adeguatamente le tappe dello sviluppo. Ad esempio un bambino fin da piccolo ha dovuto farsi carico di un genitore depresso, questo perché la figura della mamma è indispensabile per la sopravvivenza del bambino, per cui per alleviare il senso di minaccia alla propria esistenza il piccolo farà di tutto per migliorare lo stato di salute psicofisica della madre, adultizzandosi precocemente, facendosi carico di responsabilità che non sono adeguate all'età e andando a instaurare una vera e propria inversione dei ruoli. Questo farà si che il futuro dipendente affettivo si immedesimerà frequentemente nel ruolo del Salvatore o più comunemente sindrome della crocerossina.

Karpmann ha esplicitato bene con il triangolo drammatico come le gli individui si muovano secondo tre ruoli o posizioni:

  • Salvatore
  • Vittima
  • Persecutore

Per cui spesso chi parte da una posizione di salvatore, si muoverà verso una persona che appare bisognosa. Si possono delineare due situazioni come esempio : quella in cui il dipendente affettivo debba correre in aiuto di qualcuno che appare come bisognoso di cure, nella speranza di poter sistemare la situazione sbilanciata creatasi nell'infanzia, ovvero "se io riuscirò a guarire il mio partner, lui finalmente mi amerà, e io sarò vista." Questa in realtà è una illusione perché il dipendente affettivo andrà inconsciamente a individuare nel partner tutti quei segnali che ricordano la dinamica relazionale infantile, per cui il suo desiderio non potrà mai essere realizzato e anzi il suo senso di frustrazione sarà autoalimentato, passando così nel ruolo di vittima, e il suo partner in quello di persecutore.

Altra situazione che si può delineare, che è lo specchio della precedente, è il caso del narcisista patologico che si mostra inizialmente comprensivo ed empatico verso una figura bisognosa, quindi assume un falso ruolo di salvatore, finalizzato esclusivamente alla conquista per dare nutrimento al proprio ego. Nel momento in cui il dipendente affettivo si incastra nella relazione, il narcisista l'abbandona, spaventato dall'intimità, che gli ricorda l'invadenza della madre oppure inizia tutta una serie di umiliazioni verso la partner che ormai è una vittima e quindi il narcisista passa nel ruolo di persecutore. È importante soffermarsi sulla funzione che svolgono i diversi ruoli, ad esempio il porsi nella posizione del persecutore è un modo disfunzionale per porre netti confini con l'altro. Nel caso del narcisista sentirsi invaso dalle richieste affettive del partner è devastante, perché teme di rivivere le richieste materne che non erano focalizzate sul benessere psicologico ed emotivo del figlio, ma solo sul proprio ego, il bambino era visto come un oggetto per soddisfare i bisogni del genitore, quindi ogni richiesta è vista dal narcisista come una forte intromissione.

Ritornando al discorso della inversione dei ruoli, in cui un figlio si prende cura della madre, è possibile evidenziare come questa disfunzione familiare comporti un senso di confusione nell'identità del bambino. Il figlio non ha l'identità di bambino ma si sente come un genitore, non potendo così vivere e sperimentare la sua reale identità, rischiando di non sapere chi è autenticamente. Nelle relazioni successive è facile, come detto, che si ripresentino situazioni del tutto simili, per cui il dipendente affettivo pur di non contattare l'emozione della paura, della solitudine e del vuoto, evita a tutti i costi di separarsi dal partner. Si crea un rapporto simbiotico, dove bisogna distinguere tra simbiosi sana e fisiologica e simbiosi patologica.

La simbiosi sana è data da una reciproca dipendenza tra il figlio e la madre. In analisi transazionale ogni individuo che ha completato il suo sviluppo possiede e utilizza in modo sano tre stati dell'Io: Genitore(G), Adulto(A), Bambino(B).

 Ma il bimbo appena nato non ha ancora sviluppato l'Adulto e il Genitore. Nella simbiosi sana, secondo il modello analitico transazionale, la madre utilizza lo Stato dell'Io Genitore e l'Adulto per occuparsi del figlio che inizialmente dispone solo dello Stato dell'Io Bambino. In questa maniera due individui si completano, la madre usando G+A e il figlio con il suo B. Questa è chiamata simbiosi di primo grado ed è rappresentata nella seguente figura:

se crescendo sono rispettate le tappe evolutive del ciclo vitale il figlio inizia il processo di separazione e individuazione costruendosi così una propria identità. Può accadere come ho accennato all'inizio che tale sviluppo subisca una interruzione, è il caso dell'esempio riportato in cui si verifica una adultizzazione del bambino o in cui il genitore non favorisca lo svincolo del figlio attraverso una forma di iperprotezione che veicola il messaggio "da solo non ce la fai".

 Nel caso della inversione dei ruoli, tra la madre depressa, incapace di rispondere ai bisogni primari del bambino, e quest'ultimo che si occupa di lei, non si stabilisce un contatto che procuri al figlio un attaccamento sicuro, caratterizzato da sicurezza e fiducia nell'altro e verso il mondo. Si può verificare allora il caso della simbiosi di secondo grado, che rispecchia proprio la situazione in cui i ruoli madre figlio sono invertiti. Il bambino non svilupperà un senso di sicurezza e fiducia, bensì uno stile di attaccamento insicuro, dove si sente costantemente minacciato nella sua esistenza, e questo lo porterà a dover controllare l'ambiente circostante e la madre, per avere la sensazione che tutto va bene, potersi rassicurare inibendo attraverso il controllo la paura. L'altro diventa quindi indispensabile, perché la separazione è avvertita come troppo minacciosa per la propria identità, quindi il bambino si prende cura dell'altro per neutralizzare il suo bisogno di protezione ed evitare il distacco, e riproporrà tale dinamica in tutte le relazioni intime. Questo impedisce un sano e completo sviluppo della propria identità, per cui si ricerca la completezza nel partner, riproponendo proprio una simbiosi disfunzionale in cui nessuno dei due membri della coppia utilizza tutti e tre gli stati dell'io in modo integrato. Ad esempio il dipendente affettivo utilizza in alcuni momenti solo l'Adulto e il Genitore specie se è in coppia con un individuo narcisista che utilizza prevalentemente lo stato dell'Io Bambino, un Bambino onnipotente e grandioso che deve compensare l'inadeguatezza dei suoi genitori. Altre volte il dipendente affettivo può utilizzare solo il Bambino cercando disperatamente accudimento da un partner che lo completi con i suoi stati dell'io G e A. Il ripetersi di questo meccanismo impedisce lo sviluppo dell'identità e della sicurezza in sé, e la persona dipendente non introietta i criteri per discriminare ciò che pensa lei da ciò che pensa l'altro, ma è come se ci fosse una fusione (e quindi incapacità di porre confini adeguati) che la induce a credere che il suo sentire e pensare siano esattamente come quelli del partner. In questo modo si manifesta la svalutazione di sé, la persona sente di non poter vivere senza l'altro, che il partner sia indispensabile, mentre chi si prende cura svaluta l'oggetto delle sue cure, inviandogli il messaggio che non può farcela da solo. 

Dott.ssa Germana Verganti, psicologa-psicoterapeuta

Riferimenti bibliografici

Gloria Noriega Gayol (2015). Il copione di codipendenza nella relazione di coppia. Diagnosi e piano di trattamento. Alpes Italia, Roma.

Stewart, V. Joines (1987), L'analisi transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani. Garzanti Editore.

S. Woollams, M. Brown (2009), Analisi Transazionale, psicoterapia della persona e delle relazioni. Cittadella Editrice, Assisi.


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